Istvan Szabo – testo critico e biografia
Testo critico
István Szabó appartiene alla generazione che aveva vent’anni quando in Ungheria avvennero i fatti del ’56. Per la precisione, lui di anni ne aveva diciotto quando i carri armati sovietici entrarono a Budapest e ne aveva ventitré quando ha girato Koncert, il cortometraggio con cui poi, nel ’63, si diplomerà alla Scuola Superiore di Teatro e Cinema. Questo per dire che per un autore come Szabó è inevitabile trovare le ragioni del cinema nel confronto diretto con un senso della Storia vissuto sulla pelle, come qualcosa che va al di là degli eventi perché appartiene a vissuti non ancora elaborati e metabolizzati. Il suo sguardo sulla realtà nasce dall’esigenza di collocare l’individuo nella complessità del proprio tempo personale, confrontandolo con gli eventi storici. Il tema della responsabilità dell’individuo dinnanzi alle scelte che la Storia gli impone è la cornice di uno specchio in cui si riflette l’immagine di una dimensione morale dell’esistere, che deve fare i conti con la finitezza esistenziale della persona, con la sua fragilità, con i compromessi che l’indole, l’emozione e la contingenza del momento gli impongono.
Il cinema di Szabó è un cammino di crescita. Nasce nel segno generazionale, con film che dialogano con il presente nella flagranza di una giovinezza che si affaccia all’età adulta, e poi trova via via una dimensione metaforica per relazionarsi con il passato. Approdando, infine, a una elaborazione della Storia attraverso le responsabilità del singolo e le colpe della collettività. È l’evoluzione di una visione “umanistica” della realtà (Comuzio), che lo rende capace di trovare un linguaggio universale o, per meglio dire, internazionale, grazie al quale diventerà non a caso il regista ungherese della sua generazione più noto nel cinema mondiale, premiato nei grandi festival e chiamato a lavorare in coproduzioni di ampio respiro, segnate da star di rilievo.
Tutto però ha inizio da esordi che lo vedono totalmente immerso nello spirito del suo tempo, gli occhi puntati alla fremente esperienza della nouvelle vague francese, che lo ispira dettandogli una trilogia che narra l’approccio della sua generazione all’età adulta con ispirazione dichiaratamente truffautiana, non solo nello stile ma anche nell’utilizzo di un attore feticcio, che per Szabó è András Bálint: L’età delle illusioni coglie l’affacciarsi alla vita adulta di un gruppo di giovani che hanno appena terminato gli studi, mentre Il padre descrive il confronto con la realtà di un ragazzo cresciuto nell’idealistico mito paterno (in cui non è difficile intravedere riferimenti staliniani) e Film d’amore ricostruisce la storia recente ungherese, affrontando il tema della separazione tra la realtà e i sentimenti. Szabó è “tra i primi, durante l’avvio della gestione Kádár, a occuparsi di storie private, a giocare, con bella riuscita espressiva, la carta del recupero del soggettivismo” (Bolzoni) e c’è una immediatezza in questi film che nasce di sicuro dal clima che si respirava nello Studio Béla Balász, che Szabó e i suoi compagni di corso all’Accademia (János Rózsa, Pál Gábor, Ferenc Kardos, tra gli altri) avevano rifondato. A questi tre film segue il dittico composto da Via del pompieri n. 25 e Racconti di Budapest che porta nel cinema del regista una dimensione più metaforica, in cui l’obiettivo sembra allargarsi e l’intera Budapest diventa lo scenario simbolico di una visione che va sempre più incarnandosi nella realtà sociale e storica ungherese. Il successivo Fiducia, coniugando l’intimismo di un incontro tra due solitudini amorose alla dimensione storica del dopoguerra, fa da cerniera con il seguente trittico, che rappresenta l’avvio della grande stagione internazionale all’insegna di una riflessione esplicita sul rapporto tra il potere e la società, ovvero tra l’ambizione e l’individuo.
Sono temi sui cui il regista tornerà in formulazioni differenti anche più avanti, ma che trovano la loro formulazione precisa nella trilogia degli anni ’80 segnata dalla presenza di Klaus Maria Brandauer: Mephisto, Il colonnello Redl e La notte dei maghi. È qui che la Storia diventa un elemento plastico di confronto morale per l’individuo che, posto di fronte alla responsabilità di fare delle scelte, deve districarsi tra i propri sogni, la realtà in cui è suo malgrado calato e il giudizio finale che lo attende implacabile. Tutto ciò che seguirà sarà una raffinata variazione su questi temi, attraverso una serie di film che, nel linguaggio ormai acquisito della grande produzione internazionale, approfondirà un dilemma che agli occhi del regista appare il vero punto di snodo tra i sogni e le disillusioni maturate all’ombra del dopoguerra: che si parli della caduta dell’impero sovietico (Dolce Emma, cara Bobe), delle ambizioni artistiche (Tentazione di Venere) e della vanità sentimentale (La diva Julia) o della connivenza con gli orrori della Storia (A torto o a ragione).
Massimo Causo
Biografia
Nato a Budapest il 19 febbraio 1938, István Szabó è stato tra i principali protagonisti della stagione di rinnovamento del cinemaungherese avviata negli anni Sessanta. Cresciuto sino quasi alla fine della guerra a Tatabánya, città mineraria dell’Ungheria nord-occidentale, Szabó frequenta le scuole a Budapest e, ottenuta la maturità, è ammesso alla Scuola Superiore di Teatro e Cinema. Quisegue i corsi del celebre direttore Félix Máriássy e realizza i suoi primi cortometraggi:A Hetedik napon(Il settimo giorno, 1959),Plakátragasztó(Colla per poster, 1960),Variaciok egy témara(Variazioni sul tema, 1961),Te(Tu, 1963) eKoncert(Concerto,1963), suo film di diploma. Insieme ai suoi compagni di corso, Szabó rifonda nel ’61lo Studio Béla Balász, nato nel ’59 come club dicinefili e trasformato dagli studenti in uno studio di produzione grazie al clima di rinnovamento favorito dalle riforme di JánosKádár.È in questo contesto che Szabó esordisce, a soli 26 anni, conAlmodozasok kora(L’età delle illusioni, 1964), primo capitolo di unatrilogia che, assieme ai successiviApa(Il padre,1966) eSzerelmesfilm(Film d’amore, 1970), rappresenta una biografia ideale dellasua generazione. Sono tutti lavori che si segnalano sulla scena dei festival internazionali, così come i due lavori successivi:Tuzoltoutca 25(Via dei pompieri n. 25, 1973), Gran Premio a Locarno ’74, eBudapesti mesék(Racconti di Budapest, 1976), che è inConcorso a Cannes ’77. Sono due film che compongono un dittico in cui Budapest diventa lo scenario simbolico di una visione cheva sempre più incarnandosi nella realtà sociale e storica del suo paese. Anche il successivoBizalon(Confidence, 1979) segue lostesso orientamento, raccontando il clima di diffidenzaalla fine della guerra attraverso la convivenza forzata di una coppia disconosciuti in un appartamento. Il film vale a Szabó il premio per la regia alla Berlinale e la candidatura all’Oscar, confermando ilprestigio internazionale cui il regista è votato.Dopo una parentesi in Germania, dove firmaDer grüne Vogel(L’uccello verde, 1980), una storia d’amore al tempo della GuerraFredda, István Szabó inaugura infatti una nuova fase della sua carriera, caratterizzata da una riflessione sul rapporto tra la Storia el’individuo basata su tematiche legate alla responsabilità morale dell’uomo posto dinnanzi al potere. È in questo orizzonte che simuoveMephisto(1981), dramma della connivenza di un attore con il Nazismo nel nome dell’arte, basato sul romanzo di KlausMann: interpretato da un potente Klaus Maria Brandauer, il film vince a Cannes il premio per la sceneggiatura e conquista unOscarper il Miglior Film Straniero che lo consacra a un grande successo internazionale. Sulla stessa linea produttiva e tematica si muovonoancheColonel Redl(Il colonnello Redl, 1984), in cui il regista affida sempre a Brandauer la parabola di un ambizioso giovaneufficiale dell’esercito austro-ungarico, eHanussein(La notte dei maghi, 1988), in cui l’attore austriaco dà corpo alla vera storia di unchiaroveggente tedesco assurto a grande fama nella Germania nazista.Ormai collocato in un contesto internazionale, Szabó inaugura gli anni ’90 conMeeting Venus(Tentazione di Venere, 1991), in cuiGlenn Close e Niels Arestrup sono al centro di una satira sul rapporto tra ambizione, arte e sentimenti basata sul tentativo di metterein scena a Parigi un innovativo Tannhäuser. Nel successivoÉdes Emma, drága Böbe(Dolce Emma, cara Bobe, 1991) il regista sisofferma invece sullo sbandamento seguito alla caduta del regime sovietico, raccontando la storia di due ragazze di campagna chetentano di sopravvivere nella nuova realtà. Anche i due film successivi dimostrano che il confronto con la Storia è la prospettivaprivilegiata di Szabó:inSunshine(1999) Ralph Fiennes racconta tre generazioni di una famiglia ebrea dall’impero austro-ungaricosino alla Seconda Guerra Mondiale; inTaking Side(A torto o a ragione2001) viene ricostruito il processo che vide protagonista ilcelebre direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, accusato di collusione col nazismo. Il contrasto tra le lusinghe del successoartistico e la sfera personale torna invece ad essere al centro diBeing Julia(La diva Julia2004), in cui Annette Bening dà vita allastoria di una primattrice londinese degli anni ’30 sulla via del declino.I film successivi segnano il ritorno di István Szabó in patria:Rokonok(Relatives,2006) è una satira socialededicata a un giovane eonesto procuratore alle prese con la corruzione,At Ajtó(The Door2012) è un dramma ambientato negli anni ’60 sull’ambiguorapporto tra una giovane scrittrice ungherese e la sua strana governante, mentre il recenteZárójelentés(Final Report,2020) ritrovaBrandauer nel ruolo di un rinomatocardiologo che a fine carriera accetta di tornare come medico di base nel suo villaggio natale.